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THAYAHT & RAM

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I. Prologo

Cercheremo di spiegare al pubblico in maniera chiara, essenziale e comprensibile per tutti, le principali motivazioni che hanno portato due grandi artisti fiorentini e cosmopoliti famosi in Italia e nel mondo THAYAHT e RAM ad inventare la TuTa a Firenze nei giorni che intercorrono fra il 17 giugno e il 02 luglio 1920 coniando sia l’appellativo che ideandone il modello maschile prima e il modello femminile subito dopo qualche settimana.

Tutto inizia a Firenze in un giorno caldo di giugno 1920 come un romanzo in concomitanza della fine della Prima Guerra Mondiale e dopo la Rivoluzione russa d’Ottobre del 1917..

Scrive Thayaht nell’ultima intervista rilasciata all’amico di famiglia e allo giornalista/scrittore/poeta versiliese Raffaello Bertoli apparso sul quotidiano “La Nazione” nel 1958 dal titolo “Nacque la TuTa nello studio di un futurista” esattamente un anno prima della sua morte: “…Era di giugno e faceva già caldo a Firenze. I tessuti costavano cari e il movimento delle folle era grigio per l’assoluta impossibilità di cambiare i vecchi vestiti con qualcosa di nuovo e di fresco pensai come l’elemento colore poteva rallegrare ed agitare come elemento ottimista sull’Uomo e sulla Donna che lo portavano ed ancora più su coloro che questi colori vedevano sugli altri. Ci voleva qualcosa che rompesse l’abitudine ai colori spenti ai colori misti di marrone, di grigio e di nero. Avevo negli occhi i colori festosi degli impressionisti . Un giorno, passando in via Orsanmichele, vidi in una vetrina tessuti di cotone e di canapa a colori vivaci e a poco prezzo. Presi alcuni campioni e mi misi al lavoro. La confezione doveva essere di minima spesa e tale da potersi fare in casa, perché il nuovo tipo di abito fosse alla portata delle masse come io lo avevo sognato. Ebbi la collaborazione di mio fratello Ruggero, anch’egli pittore. Poi mobilitai alcune amiche, abili con la macchina da cucire e mi feci confezionare la prima TuTa bianca da me stesso tagliata che può considerarsi il prototipo di quelle perfezionate venute in seguito. Allora fu stampato il disegno del modello geometrico, con le spiegazioni di taglio, di questo abito “tutto d’un pezzo”, a forma di “T” ..”

Da quel momento nacque ufficialmente nella Storia della Moda Italiana il cosiddetto “Made in Italy” che il mondo a tutt’oggi ci invidia.

II. Thayaht e RAM sono alle origini del Made in Italy

Il concetto dell’appellativo TUTA come indumento universale è sintetico, essenziale, razionale e di conseguenza ne segue in maniera logica anche il suo concepimento dove la TuTa viene ideata come abito universale per ‘TUTTI’, ‘PER TUTTA LA GENTE’ , da dove poi decade una “T” , per ‘TUTI’ , ‘PER TUTA LA GENTE’; la consonante perduta “T” si rigenera e viene riassorbita e ritrovata nel modello stesso che ha appunto la forma di una “T” .

Mentre Thayaht è stato l’ideatore del modello della TuTa maschile e del modello della TuTa femminile, RAM ha disegnato soprattutto i vari modelli della TuTa maschile ed è il fautore principale della campagna pubblicitaria di marketing e comunicazione di massa sulla TuTa, campagna che verrà poi adottata poi mezzo secolo dopo dalle maggiori aziende pubblicitarie e testate giornalistiche italiane con i famosi allegati.

III. Il concetto sociale e politico della TuTa

Il messaggio potente e diretto della TuTa è stato quello di trasmettere il concetto della popolarità di un abito alla portata di tutti e quindi adatto per tutta la gente dove l’elemento praticità, eleganza, colore e convenienza erano contemporaneamente presenti.

Inoltre lo scopo era di fare sentire la gente meglio, proprio in quello specifico periodo tragico della Storia, dando loro un senso di sollievo pratico e psicologico in quanto avere la possibilità d’indossare un indumento di alta moda a un costo popolare fra le 30 e le 45 lire per tutti era la VERA RIVOLUZIONE DELL’ABBIGLIAMENTO. Questa difatti era la vera sfida e provocazione, cioè, contrastare principalmente l’oligopolio delle maggiori case di moda francesi presenti in quel periodo sul Mercato rafforzando contestualmente la Moda Italiana. Questa sfida poteva essere intrapresa, per essere vincente, solamente da personaggi ‘illuminati’, da artisti intellettuali e cosmopoliti quali erano i due fratelli che conoscevano a fondo i vizi e le virtù della società dell’epoca, vista da un loro contesto privilegiato.

L’elemento colore nel concepimento della TuTa è stato essenziale in quanto l’obbiettivo di Thayaht era quello di rompere la monotonia dei colori spenti.

L’elevatura ad un migliore standard sociale permetteva a tutta la gente d’indossare un indumento di Alta Moda che, invece di apparire nelle riviste di Alta Moda, volutamente appare, nel giornale popolare della città di Firenze che era “La Nazione”. Questo per contestualizzare il tutto in maniera uniforme ed equilibrata sulla tematica dell’uguaglianza sociale. Quindi l’equazione abito popolare=prezzo popolare=giornale popolare era d’obbligo.

Politicamente parlando dopo la Prima Guerra Mondiale e dopo la Rivoluzione d’Ottobre in Russia era ancora più marcata ed evidente la necessità e la ricerca nella Moda di un indumento più sociale e più popolare che mai e quindi anche la tempistica sulla invenzione della TuTa non poteva essere più indovinata.

IV. Le varie correnti che hanno influenzato l’invenzione della TUTA

  • Futurismo (1909-1944): nell’ideazione della TuTa si evince con grande chiarezza l’ispirazione e il concetto da parte di Thayaht in ciò che egli definiva nella scultura, la ‘sintesi plastica’ dove viene tradotto in materia unicamente il concetto e l’idea dell’abito tralasciando tutto il resto nel senso figurativo del termine. Questo concetto di sintesi Thayaht in primis poi RAM in secondo luogo, lo traducono dimostrando al meglio l’espressione nella ideazione e nella sintesi del modello della TuTa. Quindi il concetto della complementarità e della sintesi dell’Arte con la Moda.
  • Balletti russi: il 02 agosto 1917, Thayaht incontra Diaghilev, il direttore e Massine (primo ballerino) al Select Palace Hotel a Viareggio (LU), l’attuale Hotel Principe di Piemonte, e subisce il fascino dei balletti russi; ciò si evince dalle sue varie foto in pose plastiche di un ballerino che indossa la TuTa, dove in una coreografia ben studiata, risalta l’elemento estetico del movimento della danza.
  • Influenza Décò con la Maison Vionnet (1919-1925) dove si coglie un’assoluta similitudine tra i modelli di Vionnet e quelli della TuTa poiché in entrambi i casi il tessuto viene tagliato seguendo schemi geometrici che assecondano i movimenti del corpo una volta che il vestito viene indossato, quindi è il corpo che modella l’abito e non è l’abito che modella il corpo.
  • Influenza parigina dandy e snob

V. La campagna di comunicazione per la TuTa

  • tramite le due famose cartoline pubblicitarie del 1920 firmate RAM di cui la prima chiamata “Tuttintuta” che vuole trasmettere un messaggio della TuTa politico e sociale di uguaglianza e di fratellanza, dove sei personaggi che camminano a braccetto rappresentano una rivisitazione in chiave futurista e moderna del dipinto di Pellizza da Volpedo del 1901 “Il Quarto Stato” ; invece che rappresentare le rivendicazioni dei lavoratori di fine Ottocento, rappresenta nell’attualità dell’anno 1920 la casalinga, l’operaio, l’artista, la contadina, il professionista e lo scolaro che camminano unitamente insieme con i ‘sandali di Firenze’ e i ‘sandali di Forte dei Marmi’ ideati da Thayaht;

La seconda cartolina invece trasmette un messaggio della TuTa snob e dandy; viene rappresentata una scena metropolitana dove è parcheggiata una limousine con autista davanti ad un noto ipotetico caffè cittadino e personaggi in TuTa maschile si susseguono con indosso i ‘Sandale de Florence’ e i ‘Sandale de Forte dei Marmi’ ideati da Thayaht .

In ognuna di queste due cartoline ci sono ben tre messaggi pubblicitari : quello della promozione della TuTa, quello della promozione dei ‘sandali di Firenze’ (con gli occhi) e quello della promozione dei ‘sandali di Forte dei Marmi’ (a strisce).

  • tramite cinque cartoline pubblicitarie firmate RAM con filastrocche umoristiche;
  • tramite la divulgazione culturale e pubblicitaria con fotografie, modelli esplicativi, disegni e commenti tecnici trasmessa dai due fratelli e pubblicata prevalentemente fra i mesi di giugno e luglio 1920 sul giornale di Firenze “ La Nazione” ;
  • tramite un cortometraggio voluto e commissionato dai due fratelli artisti con la regia della “Sala Edison” dove il 27 giugno 1920 alle ore 8:00 del mattino in Via Ricasoli davanti alla sede principale della Nazione venivano invitati a comparire circa mille ‘tutisti’ fiorentini , uomini in TuTa, donne in TuTa e bambini in TuTa, ingaggiati gratuitamente come comparse per sfilare e snodarsi lungo le vie e le piazze principali della città per poi terminare con un rinfresco di birra collettivo al bar-.ristorante storico della Loggia a Piazzale Michelangelo.

L’idea geniale e implicita di RAM è stata anche quella della sfilata di moda dove il popolo partecipante diventa comparsa e modello allo stesso tempo e il popolo non-partecipante diventa spettatore di questa grande sfilata/corteo cittadino di ‘tutisti’; Per invogliare alla sfilata i cittadini fiorentini, una settimana prima, viene loro proposto sempre tramite comunicazione dal giornale della Nazione, l’invito a partecipare alla sfilata sul lancio della TuTa a due condizioni: la prima che i potenziali partecipanti acquistino il cartamodello al prezzo di 0,50 centesimi all’allegato della Nazione e che conseguentemente la producano a casa propria da soli, quindi, senza alcun costo e oneri aggiuntivi per il giornale e per la produzione cinematografica. Quindi in maniera raffinata ed arguta i due fratelli giocano sul fattore sia psicologico che narcisistico insito nella natura umana per avere un consenso e un’accettazione senza problemi da parte della gente. E infatti è un successo.

VI. Le date principali nella cronologia della TuTa

  • 17 giugno 1920 : pubblicazione e lancio della TuTa sul giornale “La Nazione” di Firenze con il modello della TuTa maschile ideato da Thayaht ed altrettanti modelli disegnati da RAM;
  • 27 giugno 1920 : appuntamento alla sede della Nazione in Via Ricasoli a Firenze per il filmato sul lancio della TuTa dove vengono invitati a fungere da attori/comparse circa mille fra tutisti e tutiste uomini, donne e bambini tuttintuta; Thayaht e RAM sono anch’essi ambedue presenti nel filmato fra le innumerevoli comparse;
  • 02 luglio 1920 : pubblicazione e lancio sul quotidiano “La Nazione” di Firenze della TuTa femminile con modello ideato da Thayaht e disegno eseguito da Thayaht;
  • 02 marzo 1922 : la TuTa femminile brevettata dalla Maison Vionnet, viene presentata nella sfilata presso la sede di 222 Rue de Rivoli e il 1922 sarà ricordato a Parigi e in Francia come l’anno della TuTa.

Thayaht esegue fra l’altro un pochoir pubblicato sulla rivista parigina di moda di Lucien Vogel “Gazette du Bon Ton” dal titolo “L’Essayage à Paris (Croydon – Bourget)” dove una donna elegante in ‘Robe d’aviation’ come definita dallo stesso Thayaht prende l’aereo;

  • da sottolineare anche l’invenzione della Bi-TuTa sempre nel 1920 da parte di Thayaht che però non ebbe quel clamore e risonanza mediatica degli altri due capi d’abbigliamento.

VII. Epilogo

La TuTa nell’ambito della Storia della Moda rimane l’unico indumento universale che proviene dal Futurismo che ancora a oggi è universalmente adottato e riconosciuto.

Riccardo Michahelles
Il Curatore dell’Archivio THAYAHT & RAM di Firenze
www.thayaht-ram.com
Copyright © 2020
Tutti i Diritti Riservati

Thayaht in TuTa Firenze 1920

Taglio della TuTa Thayaht Firenze 1920

RAM Cartolina pubblicitaria “Tuttintuta !” Firenze 1920

RAM Modello TuTa Firenze 1920

Thayaht e RAM Cortometraggio per il lancio della TuTA Cinematografia Edison Firenze 27 giugno 1920

La Nazione di Firenze – Thayaht taglio TuTa maschile, RAM due disegni della TuTa maschile, 17 giugno 1920

La Nazione di Firenze -Thayaht taglio della TuTa femminile e disegno della TuTa femminile Firenze 02 luglio 1920

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RAM

GALLERIA FRASCIONE ARTE

 

 

RAM fra Novecento e Metafisica.

La Natura ricreata

 a cura di Susanna Ragionieri

Poliedrica figura di artista attivo come pittore, scultore, illustratore, graphic designer e incisore, con interessi nel mondo della scenografia teatrale, della moda, dell’architettura, RAM, acronimo per Roger Alfred Michahelles (Firenze, 1898 – 1976), rappresenta a pieno il prototipo di intellettuale cosmopolita, «a cui l’arte -come scrisse Raffaello Franchi già nel 1926- riesce positiva e precisa, pur cambiando ispirazione e forma». Nella tensione astraente, sintetica e consapevolmente decorativa delle sue opere come nell’adozione dei differenti linguaggi, sempre finalizzati alla ricerca di una bellezza capace di farsi interprete del proprio tempo, è da riconoscersi una voce fra le più significative e profonde di quello spirito di modernità che caratterizza e attraversa tutta la prima parte del XX secolo, definendone la complessa e talvolta controversa atmosfera.

La mostra prende per la prima volta in esame l’intero arco dell’attività dell’artista, con una selezione di dipinti, sculture e bozzetti pubblicitari che spaziano dai primi anni Venti fino alla seconda metà degli anni Sessanta.

Nato in una agiata famiglia svizzero-anglo-americana trasferitasi a Firenze dalla metà dell’Ottocento per iniziativa del celebre scultore neoclassico Hiram Powers, RAM cresce in un ambiente internazionale e naturalmente aperto all’arte, praticata in primis dal brillante fratello maggiore Ernesto, in arte THAYAHT. Gli esordi lo vedono vignettista e ideatore, nel 1920, della campagna pubblicitaria Tuttintuta per il lancio del rivoluzionario abito disegnato dal fratello; poi scenografo, autore, ancora a fianco del fratello, di sintetici e monumentali bozzetti alla Gordon Craig per Aida, premiati nel 1924; infine cartellonista dal raffinato linguaggio déco, come appare nel Marzocco di  E.A.T. del 1925, commissionato nell’ambito di una campagna di valorizzazione dell’immagine di Firenze.

I lunghi periodi vissuti a Parigi frequentando gli ateliers di Alexandre Jacovleff, Maurice Denis, Othon Friesz, valgono intanto a familiarizzarlo con gli esiti di un disinvolto linguaggio internazionale; di quel clima, RAM sembra piuttosto incline a cogliere, come già Picasso, la lezione dello stilismo di Ingres che, combinata con i riflessi «tra fiammingo e caravaggesco» delle opere italiane studiate nei musei, è alla base di intensi dipinti quali Il turbante giallo o Ritratto di modella dal prezioso scialle fiorato, presentati nella prima personale fiorentina del 1928.

In questi anni sono tuttavia due gli elementi che giocano un ruolo decisivo nella costruzione del linguaggio maturo dell’artista: da un lato l’intensificarsi dell’attività grafica, con le collaborazioni parallele alle due importanti testate milanesi mensili «La Rivista illustrata del Popolo d’Italia» e «Natura» (per le quali progetterà fra 1927 e 1942 una media di tre copertine l’anno)-, dall’altro un rinnovato impegno nella scultura, che lo conduce in breve dalle forme ruvide e compatte di Fanciulla primitiva, prossime alla plastica di Libero Andreotti, all’aspirazione cosmica di Madre Natura e soprattutto all’energia ritmica di 4 H.P. X 1931 (Quadriga), lodata da Marinetti e presentata nelle principali mostre del Futurismo. Questi elementi agiscono infatti da efficaci deterrenti contro l’incombente pericolo del museo, aprendo l’artista a nuove problematiche. Fra queste spicca il rapporto con l’architettura che, nutrito di idee razionaliste, oltre a concretarsi in una serie di visionari progetti quali il Monumento al Marinaio di Brindisi, il Nuovo fabbricato viaggiatori della stazione di Firenze (in collaborazione con gli architetti Bianchini e Fagnoni), lo Stadio di Livorno, o nel Brevetto per “Casolaria” – Casa razionale estensibile (scritto insieme a Thayaht), susciterà una vera e propria svolta nella sua ricerca pittorica, caratterizzata per tutti gli anni Trenta, da una particolare e personale esperienza «neo-metafisica», in cui entrano in gioco e si sviluppano tangenze e parentele con gli «Italiens de Paris» attivi nella capitale francese: Magnelli, Tozzi, Paresce e soprattutto de Chirico.

Dal nuovo decennio, nelle opere di RAM si avvia dunque un particolare processo che, spogliando definitivamente l’immagine di ogni residuo aneddotico, ne trasforma la struttura compositiva e spaziale rendendola allusiva attraverso l’uso simbolico dell’architettura, come avviene in Severini o Tozzi, elevando le figure, come Campigli, al rango di immote statue in terracotta, mentre il colore si accende di una luce interna e limpida, come accade nelle opere coeve di Magnelli, e un’eco sospesa di solitudine e di attesa rimane ad aleggiare con un sottile richiamo a de Chirico.  L’Ile de Cythère, Gli sposi, Promenade en auto, Le retour, esposte a Parigi nella personale alla galleria «Le Niveau» nel novembre del 1936, o la scultura in terracotta invetriata Il costruttore, dimostrano lo stato di grazia raggiunto in questa nuova stagione. De Chirico stesso, che scriverà per il catalogo un breve testo di presentazione, riconosce all’artista la capacità di aver dato forma poetica all’insondabile mistero della realtà metafisica.

Il tema della «natura ricreata» attraverso l’indagine di una bellezza pura e trascendente, alla ricerca di quel «living thrill» che per RAM assicura la legittimità insostituibile della pittura anche nei confronti di mezzi allora in ascesa quali la fotografia (che pure egli stesso usa e manipola nei suoi aggiornatissimi foto-collage), rimane alla base di una serie di ritratti che giungono a toccare gli anni Quaranta e si andrà rafforzando anche nel decennio successivo, quando le voragini aperte dalle macerie della seconda guerra mondiale renderanno più difficili questo tipo di ricerche condannandole ad un’inattualità che si traduce spesso nel più completo isolamento.

Nasce ora, in pieno dopoguerra, il ciclo degli acrobati e dei saltimbanchi che va a dialogare con le lontane radici del Picasso blu e rosa, in sottile polemica con l’irrompere sulla scena italiana del post-cubismo picassiano di Guernica. Ancora una volta l’artista parte dalla realtà e dal ricordo ormai mitico di quando ragazzo, in Maremma, seguiva «famiglie di saltimbanchi con le loro mobili case: tende, teatrini, carrozzoni, cavalli, costumi succinti e scoloriti senza epoca, berrettoni e fronzoli, ma ricchi di vita». In fondo, sembra suggerire negli sguardi profondi delle figure che chiamano in causa lo spettatore con un’intensità da film neorealista, «siamo tutti dei saltimbanchi, tutti abbiamo un doppio volto, una maschera che ci traveste o ci nasconde agli altri».

Nel corso degli anni Cinquanta, se questa drammaticità di atmosfera va a poco a poco placandosi, la complessa parabola artistica di RAM riserva nondimeno un esito inatteso: potremmo definirlo un ulteriore decisa sterzata -quasi un decollo- verso il mondo astraente delle forme, come era accaduto al vecchio Matisse. Si apre così l’ultimo periodo dei nudi frammento e illuminazione -veri e propri haiku dipinti- che costellano gli anni Sessanta: un puro e libero gioco di ritmi colore e luce compiuto sull’orlo dell’assoluto.

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THAYAHT & RAM

13 – 28 gennaio 2018

Futuristi e Città di Fondazione del Lazio

Spazio COMEL Arte Contemporanea

LATINA (LT)

 

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Dal 7 luglio al 5 novembre 2017 il Centro Matteucci per l’Arte Moderna ospita la mostra: “Il secolo breve. Tessere di ‘900”.Si tratta di una mostra stimolante, sia per la qualità delle opere che per il filo conduttore individuato per presentarle da Susanna Ragionieri, che della mostra è la curatrice.Da sottolineare che un buon numero delle 50 opere riunite per la mostra, “emerge” da collezioni private e viene esposto al pubblico per la prima volta. Il titolo della rassegna, “Il secolo breve” si richiama naturalmente al celebre saggio pubblicato nel 1994 da Eric Hobsbawm. Il sottotitolo “Tessere di ‘900” vuole invece dar conto di una esposizione che propone una serie di testimonianze di rilievo assoluto del Secolo trascorso, tessere di un mosaico che letto nella sua complessità evidenzia un periodo artistico tra i più fecondi e creativamente tumultuosi dell’arte italiana.

Orari: 7 luglio – 10 settembre martedì/venerdì 17.30 – 22.30 sabato/domenica 10.00 – 13.00 / 17.30 – 22.3012 settembre – 5 novembre giovedì/venerdì 15.30 – 19.30 sabato/domenica 10.00 – 13.00 / 15.30 – 19.30Lunedì chiuso martedì/mercoledì: visite per gruppi biglietto intero 8 euro biglietto ridotto 5 euro

Info > http://www.cemamo.it

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Nel settembre 2015 in Nevada il Team Policumbert del Politecnico di Torino con il prototipo PulsaR ha stabilito il nuovo record italiano di velocità su veicolo a propulsione umana, sfrecciando alla velocità di 166,9 km/h.
Un concetto molto simile fu sviluppato nel 1935 da Thayaht, con il progetto MOLTIPLICA PLURILEVA, una corona ellittica a 42 denti capace di aumentare il rendimento della spinta umana sul pedale ed applicabile a qualsiasi bicicletta.

Thayaht la applica anche al suo futuristico progetto di MONORUOTA a pedali.

 

 

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Progetto espositivo da un’idea di Stefania Ricci

A cura di Carlo Sisi

Nel 2017 ricorrono novant’anni dal ritorno di Salvatore Ferragamo in Italia, nel 1927, dopo dodici anni trascorsi negli Stati Uniti. In occasione di questo anniversario, il Museo Salvatore Ferragamo ha ideato un progetto espositivo che si apre a una panoramica sull’Italia degli anni venti, decennio al quale oggi guardiamo come una vera fucina di idee e di sperimentazioni condotte con mente aperta e scevra da pregiudizi o condizionamenti ideologici. Ferragamo scelse di stabilirsi a Firenze in virtù della sua riconosciuta centralità nella geografia del gusto e dello stile nazionali in un momento storico scandito da molti ritorni: ritorno all’ordine, al mestiere, alla grande tradizione nazionale. La mostra narra proprio di questo attraversamento nella cultura del tempo, sviluppandolo per capitoli come un romanzo di formazione. Fil rouge del percorso espositivo curato da Carlo Sisi è il viaggio in transatlantico che Ferragamo compie per tornare in Italia, inteso come metafora del suo itinerario mentale attraverso la cultura visiva dell’Italia degli anni venti, da cui estrae le tematiche e le opere che influenzarono, in maniera diretta o indiretta, la sua officina poetica; senza trascurare nessuno degli aspetti culturali e sociali che contraddistinsero la rinascita civile del primo dopoguerra, alla vigilia dell’autoritaria affermazione del regime fascista.

Dal comunicato stampa ufficiale

Museo Salvatore Ferragamo, Palazzo Spini Feroni, Firenze
19 maggio 2017 – 2 maggio 2018
Orario: 10 – 19,30

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Castrocaro Terme – Padiglione delle Feste – dal 18 febbraio al 2 luglio 2017

GRAND HOTEL DELLE TERMEStrada Statale Tosco Romagnola 40 (47011)+39 0543767114 , +39 0543768135 (fax)


In mostra manifesti (Sepo, Donga, Campi), opere futuriste (Depero, Bonetti, Prampolini, Fillia), opere neo-classiche (Ponti, Ram,Cellini), vetri, decorazioni, illustrazioni e tavole con tecnica ‘au pochoir’ di Thayaht, xilografie, ceramiche della Regia Scuola Faentina)

orario: sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 19. Aperto i festivi. Da lunedì a venerdì su appuntamento. Tel 0543 767114 (possono variare, verificare sempre via telefono)
biglietti: intero 5 euro – ridotto 3 euro
vernissage: 18 febbraio 2017. ore 17
curatori: Paola Babini
genere: collettiva, disegno e grafica, arte moderna, arti decorative e industriali
comunicato stampa

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Leopoldo Metlicovitz, Turandot, 1926, Litografia a colori, Milano, Archivio storico Ricordi | Courtesy of Musei San Domenico, Forlì

Dal 11 Febbraio 2017 al 18 Giugno 2017

Forlì | Forlì-Cesena

LUOGO: Musei San Domenico

CURATORI: Valerio Terraroli

ENTI PROMOTORI:

  • Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
  • Comune di Forlì

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 0543 1912030-31

COMUNICATO STAMPA:

Un gusto, una fascinazione, un linguaggio che ha caratterizzato la produzione artistica italiana ed europea negli anni Venti, con esiti soprattutto americani dopo il 1929. Ciò che per tutti corrisponde alla definizione Art Déco fu uno stile di vita eclettico, mondano, internazionale. Il successo di questo momento del gusto va riconosciuto nella ricerca del lusso e di una piacevolezza del vivere, tanto più intensi quanto effimeri, messa in campo dalla borghesia europea dopo la dissoluzione, nella Grande guerra, degli ultimi miti ottocenteschi e la mimesi della realtà industriale, con la logica dei suoi processi produttivi. Dieci anni sfrenati, ?ruggenti? come si disse, della grande borghesia internazionale, mentre la storia disegnava, tra guerra, rivoluzioni e inflazione, l?orizzonte cupo dei totalitarismi.

Dopo le grandi mostre dedicate a Novecento e al Liberty, nel 2017 Forlì dedica una grande esposizione all?Art Déco italiana.

La relazione con il Liberty, che lo precede cronologicamente, fu dapprima di continuità, poi di superamento, fino alla contrapposizione. La differenza tra l?idealismo dell?Art Nouveau e il razionalismo del Déco appare sostanziale. L’idea stessa di modernità, la produzione industriale dell?oggetto artistico, il concetto di bellezza nella quotidianità mutano radicalmente: con il superamento della linea flessuosa, serpentina e asimmetrica legata ad una concezione simbolista che vedeva nella natura vegetale e animale le leggi fondamentali dell?universo, nasce un nuovo linguaggio artistico. La spinta vitalistica delle avanguardie storiche, la rivoluzione industriale sostituiscono al mito della natura, lo spirito della macchina, le geometrie degli ingranaggi, le forme prismatiche dei grattaceli, le luci artificiali della città.

Nell?ambito di una riscoperta recente della cultura e dell?arte negli anni Venti e, segnatamente, di quel particolare gusto definito ?Stile 1925?, dall?anno della nota Esposizione universale di Parigi dedicata alle Arts Decoratifs, da cui la fortunata formula Art Déco, che ne sancì morfologie e modelli, nasce l?idea di una mostra che proponga immagini e riletture di una serie di avvenimenti storico-culturali e di fenomeni artistici che hanno attraversato l?’Italia e l’Europa nel periodo compreso tra il primo dopoguerra e la crisi mondiale del 1929, assumendo via via declinazioni e caratteristiche nazionali, come mostrano non solo le numerosissime opere architettoniche, pittoriche e scultoree, ma soprattutto la straordinaria produzione di arti decorative.Il gusto Déco fu lo stile delle sale cinematografiche, delle stazioni ferroviarie, dei teatri, dei transatlantici, dei palazzi pubblici, delle grandi residenze borghesi: si trattò, soprattutto, di un formulario stilistico, dai tratti chiaramente riconoscibili, che ha influenzato a livelli diversi tutta la produzione di arti decorative, dagli arredi alle ceramiche, dai vetri ai ferri battuti, dall’oreficeria ai tessuti alla moda negli anni Venti e nei primissimi anni Trenta, così come la forma delle automobili, la cartellonistica pubblicitaria, la scultura e la pittura in funzione decorativa.Le ragioni di questo nuovo sistema espressivo e di gusto si riconoscono in diversi movimenti di avanguardia (le Secessioni mitteleuropee, il Cubismo e il Fauvismo, il Futurismo) cui partecipano diversi artisti quali Picasso, Matisse, Lhote, Schad, mentre tra i protagonisti internazionali del gusto vanno menzionati almeno i nomi di Ruhlmann, Lalique, Brandt, Dupas, Cartier, così come la ritrattistica aristocratica e mondana di Tamara de Lempicka e le sculture di Chiparus, che alimenta il mito della danzatrice Isadora Duncan.Ma la mostra avrà soprattutto una declinazione italiana, dando ragione delle biennali internazionali di arti decorative di Monza del 1923, del 1925, del 1927 e del 1930, oltre naturalmente dell?’Expo di Parigi 1925 e 1930 e di Barcellona 1929. Il fenomeno Déco attraversò con una forza dirompente il decennio 1919-1929 con arredi, ceramiche, vetri, metalli lavorati, tessuti, bronzi, stucchi, gioielli, argenti, abiti impersonando il vigore dell’alta produzione artigianale e proto industriale e contribuendo alla nascita del design e del ?Made in Italy?.La richiesta di un mercato sempre più assetato di novità, ma allo stesso tempo nostalgico della tradizione dell’artigianato artistico italiano, aveva fatto letteralmente esplodere negli anni Venti una produzione straordinaria di oggetti e di forme decorative: dagli impianti di illuminazione di Martinuzzi, di Venini e della Fontana Arte di Pietro Chiesa, alle ceramiche di Gio Ponti, Giovanni Gariboldi, Guido Andloviz, dalle sculture di Adolfo Wildt, RAM, Arturo Martini e Libero Andreotti, alle statuine Lenci o alle originalissime sculture di Sirio Tofanari, dalle bizantine oreficerie di Ravasco agli argenti dei Finzi, dagli arredi di Buzzi, Ponti, Lancia, Portaluppi alle sete preziose di Ravasi, Ratti e Fortuny, come agli arazzi in panno di Depero.Obiettivo dell?esposizione è mostrare al pubblico il livello qualitativo, l’originalità e l’importanza che le arti decorative moderne hanno avuto nella cultura artistica italiana connotando profondamente i caratteri del Déco anche in relazione alle arti figurative: la grande pittura e la grande scultura. Sono qui essenziali i racconti delle opere di Galileo Chini, pittore e ceramista, affiancato da grandi maestri, come Vittorio Zecchin e Guido Andloviz, che guardarono a Klimt e alla Secessione viennese; dei maestri faentini Domenico Rambelli, Francesco Nonni e Pietro Melandri; le invenzioni del secondo futurismo di Fortunato Depero e Tullio Mazzotti; i dipinti, tra gli altri, di Severini, Casorati, RAM, Martini, Thayaht, Cagnaccio di San Pietro, Bocchi, Bonazza, Timmel, Bucci, Marchig, Oppi, il tutto accompagnato dalla straordinaria produzione della Richard-Ginori ideata dall’architetto Gio Ponti e da emblematici esempi francesi, austriaci e tedeschi fino ad arrivare al passaggio di testimone, agli esordi degli anni Trenta, agli Stati Uniti e al Déco americano.Non si è mai allestita in Italia una mostra completa dedicata a questo variegato mondo di invenzioni, che non solo produce affascinanti contaminazioni con il gusto moderno – si pensi per esempio al quartiere Coppedè a Roma o al Vittoriale degli Italiani, ultima residenza di Gabriele d’Annunzio – ma evoca atmosfere dal mondo mediterraneo della classicità, così come la scoperta nel 1922 della tomba di Tutankhamon rilanciò in Europa la moda dell?Egitto. E poi echi persiani, giapponesi, africani a suggerire lontananze e alterità, sogni e fughe dal quotidiano, in un continuo e illusorio andirivieni dalla modernità alla storia.

Trattandosi di un gusto e di uno stile di vita non mancarono influenze e corrispondenze col cinema, il teatro, la letteratura, le riviste, la moda, la musica. Da Hollywood (con le Parade di Lloyd Bacon o le dive, come Greta Garbo e Marlene Dietrich o divi come Rodolfo Valentino) alle pagine indimenticabili de Il grande Gatsby (1925), di Francis Scott Fitzgerald, ad Agata Christie, a Oscar Wilde, a Gabriele D?Annunzio

La mostra è curata da Valerio Terraroli, con la collaborazione di Claudia Casali e Stefania Cretella, ed è diretta da Gianfranco Brunelli. Il prestigioso comitato scientifico è presieduto da Antonio Paolucci.

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Dal 9 febbraio al 2 marzo 2017 una mostra, a cura di Daniela Fonti, che rende omaggio ad uno dei più originali ed eclettici esponenti del movimento Futurista.

ROMA – Thayaht, al secolo Ernesto Michahelles, è stato un artista eclettico ed innovatore, uno sperimentatore antesignano di nuove sensibilità artistiche. La mostra dal titolo “Thayaht, un futurista eccentrico. Sculture, progetti, memorie”, ospitata alla Galleria Russo di Roma, è un omaggio a questo importante esponente del movimento futurista. 

Presentata in anteprima ad ArteFiera Bologna dal 27 al 30 gennaio 2017, l’esposizione testimonia la ricchezza poliedrica dell’itinerario creativo di questo “artista globale”, che si muove tra gusto Decó e avanguardia futurista, grazie alla presenza di circa duecento opere tra sculture, disegni e dipinti che vanno dal 1913 al 1940.

In particolare sarà possibile ammirare in mostra il disegno a inchiostro e acquerello su carta che riproduce la “tuta”, inventata da Thayaht nel 1919 insieme al fratello Ruggero Alfredo Michahelles, in arte RAM, ispirandosi ai concetti di funzionalità espressi da Balla. La tuta, ideata come modello a T, a linee rette, in canapa colorata o cotone grezzo, era concepita come abito universale tout-court, destinata a tutti senza distinzioni sociali ed è l’emblema del percorso artistico di Thayaht improntato a collegare sempre estetica e funzione, eleganza ed economia.

L’esposizione ospita anche alcune delle sue più celebri sculture, come la Bautta, il Violinista, la Sentinella, il Flautista, il Tennista, i Pesci, insieme allo scenografico Tuffo, realizzato per la Biennale di Venezia del 1932.

La mostra, che nella varietà di opere esposte ricostruisce la personalità eccentrica e complessa di Thayaht, è corredata da un catalogo a colori edito da Manfredi Edizioni (Cesena) con testi critici di Daniela Fonti, Carla Cerutti ed un contributo di Elisabetta Seeber.

Vademecum

Galleria Russo,
Via Alibert 20. Ingresso gratuito
Orari: lunedì dalle 16.30 alle 19:30;
dal martedì al sabato dalle 10 alle 19.30
Info: www.galleriarusso.com ; tel: 06 6789949 – 06 69920692

Sito web: www.artemagazine.it

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Progetto espositivo in più sedi
da un’idea di Stefania Ricci

Promosso e organizzato da Fondazione Ferragamo – Museo Salvatore Ferragamo

in collaborazione con
Biblioteca Nazionale Centrale Firenze
Gallerie degli Uffizi, Galleria d’arte moderna e Galleria del Costume di Palazzo Pitti, Firenze
Museo del Tessuto Prato
Museo Marino Marini Firenze

L’Orage. Robe, de Madeleine Vionnet, Thayat, 1923

La moda è arte?
Questa semplice domanda nasconde il complesso universo di una relazione articolata, su cui si è indagato
a lungo nel corso del tempo, senza mai giungere però a una definizione chiara o univoca. La moda – per la
sua necessità di essere funzionale e quindi di riferirsi concretamente alla vita reale, nonché per il suo legame
con l’artigianato e con l’industria – sembra essere lontana dall’ideale dell’art pour l’art, concetto che, tuttavia,
non è stato sempre rappresentativo nemmeno del mondo dell’arte. Andy Warhol ci ha insegnato che l’unicità
dell’opera d’arte non collima più con la produzione artistica e oggi proliferano le mostre dei fashion designer
e gli stilisti accolgono con disponibilità le pratiche dell’arte contemporanea. È ancora possibile, in questo
contesto, parlare di dicotomia tra arte e moda come accadeva nel secolo scorso?
Il presente progetto analizza le forme di dialogo tra questi due mondi: contaminazioni, sovrapposizioni e collaborazioni.
Dalle esperienze dei Preraffaelliti a quelle del Futurismo, dal Surrealismo al Radical Fashion. Nel
percorso si focalizza l’attenzione sul lavoro di Salvatore Ferragamo, affascinato e ispirato dalle avanguardie
artistiche del Novecento; su alcuni atelier degli anni cinquanta e sessanta, luogo di studio e d’incontri, e
sulla nascita della cultura della celebrità, per proseguire con le sperimentazioni degli anni novanta e arrivare
a domandarsi se nell’industria culturale contemporanea si possa ancora parlare di due mondi distinti, o se
invece siamo di fronte a un fluido gioco di ruoli.
La particolarità del piano espositivo risiede nella collaborazione di più istituzioni culturali e nella dislocazione
della mostra in varie sedi: oltre al Museo Salvatore Ferragamo, promotore e organizzatore del progetto insieme
alla Fondazione Ferragamo, ospitano le diverse esposizioni a Firenze la Biblioteca Nazionale Centrale,
le Gallerie degli Uffizi (Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), il Museo Marino Marini e, a Prato, il Museo
del Tessuto.
Le istituzioni coinvolte hanno partecipato attivamente alla realizzazione dell’idea, con l’obiettivo di invitare a
una riflessione comune.

(Dal comunicato stampa ufficiale)

Tra Arte e Moda.
A cura di Maria Luisa Frisa, Enrica Morini, Stefania Ricci, Alberto Salvadori
Museo Salvatore Ferragamo, Palazzo Spini Feroni, Firenze
19 maggio 2016 – 7 aprile 2017
Orario: 10 – 19,30

Periodici italiani nel Novecento
A cura di Stefania Ricci, Luca Scarlini, con la collaborazione di Anna Nicolò, Francesca Piani
Biblioteca Nazionale Centrale Firenze
20 maggio 2016- 15 ottobre 2016
Orario: 10 – 18
Chiuso sabato pomeriggio, domenicae festivi

Ottocento alla moda
A cura di Stefania Ricci, con la collaborazione di Caterina Chiarelli e Simonella Condemi
Gallerie degli Uffizi, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, Sala del Fiorino, Firenze
19 maggio 2016 – 24 luglio 2016
Orario: 8.15 – 18.50
Chiuso lunedì

Collaborazioni
A cura di Stefania Ricci, con la collaborazione di Alberto Salvadori
Museo Marino Marini, Firenze
19 maggio 2016 – 31 luglio 2016
Orario: 10 – 17
Chiuso martedì, domenica e festivi

Nostalgia del futuro nei tessuti d’artista del Dopoguerra
A cura di Daniela Degl’Innocenti, Filippo Guarini, Stefania Ricci
Museo del Tessuto, Prato
21 maggio 2016 – 19 febbraio 2017
Orario: Martedì – giovedì 10 – 15, venerdì – sabato 10 – 19, domenica 15 – 19
Chiuso lunedì

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a cura di Marzia Faietti e Giorgio Marini

Trentasette opere, fra disegni e stampe, per lo più mai viste dal pubblico, riferibili ai primi trent’anni circa del Novecento. Rappresentazioni di figure, volti, autoritratti carichi di profonde espressività che innestano giochi psicologici di sguardi tra l’artista e il personaggio ritratto e tra costui e lo spettatore.

Opere che rivelano la complessità dei primi trenta anni del secolo e preannunciano i drammi futuri. Tra gli autori selezionati Jacques Villon, Alberto Giacometti, Anders Zorn , e ancora Ram e Thayaht, Giovanni Costetti, Giuseppe Lunardi, Pietro Bugiani, Kurt Craemer, Primo Conti, Giuseppe Lanza del Vasto, Marino Marini. (www.beniculturali.it Renzo De Simone)

Data Inizio: 17 maggio 2016
Data Fine: 04 settembre 2016
Prenotazione:Nessuna
Luogo: Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi
Orario: Martedì – Domenica: 8.15-18.00chiuso lunedì
Telefono: 055.2388671
E-mail: ga-uff@beniculturali.it

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Piero della Francesca, Madonna della Misericordia, 1445-1462, olio su tavola. Museo Civico, Sansepolcro

Musei San Domenico, Forlì

Nella Sezione 12 “Dopo il Piero della Francesca di Longhi. Tra il realismo magico e il neorealismo della scuola Toscana”, sono presenti tre capolavori di RAM (Ruggero Alfredo Michahelles, Firenze 1898 – 1976):

Sulla Terrazza 1930, affresco 25 x 25 cm, collezione privata;

Les Mannequins 1 (Paris), 1931, olio su tela, 31 x 41,5 cm, courtesy Società di Belle Arti, Viareggio;

Les Mannequins 2 (Paris),1931, olio su tela,  46×38 cm, courtesy Società di Belle Arti, Viareggio.

L’affascinante rispecchiamento tra critica e arte, tra ricerca storiografica e produzione artistica nell’arco di più di cinque secoli è il tema della mostra Piero della Francesca. Indagine su un mito. Dalla fortuna in vita  _ Luca Pacioli lo aveva definito “il monarca della pittura” _  all’oblio, alla riscoperta.

Alcuni dipinti di Piero, scelti per tracciare i termini della sua riscoperta, costituiscono il cuore dell’esposizione. Accanto ad essi figurano in mostra opere dei più grandi artisti del Rinascimento che consentono di definirne la formazione e poi il ruolo sulla pittura successiva.

Per illustrare la cultura pittorica fiorentina negli anni trenta e quaranta del Quattrocento, che vedono il pittore di Sansepolcro muovere i primi passi in campo artistico, saranno presenti opere di grande prestigio di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello e Andrea del Castagno, esponenti di punta della pittura post-masaccesca.

L’accuratezza prospettica di Paolo Uccello e l’enfasi plastica delle figure di Andrea del Castagno, la naturalezza della luce di Domenico Veneziano, l’incanto cromatico perseguito da Masolino e dall’Angelico, costituiscono una salda base di partenza per il giovane Piero. Ma la mostra vuol dar conto anche dei primi riflessi della pittura fiamminga, da cogliere negli affreschi del portoghese Giovanni di Consalvo, nei quali l’esattezza della costruzione prospettica convive con un’inedita attenzione per le luci e le ombre.

Gli spostamenti dell’artista tra Modena, Bologna, Rimini, Ferrara e Ancona determinano l’affermarsi di una cultura pierfrancescana nelle opere di artisti emiliani come Marco Zoppo, Francesco del Cossa, Cristoforo da Lendinara, Bartolomeo Bonascia. Importanti sono i suoi  influssi nelle Marche su Giovanni Angelo d’Antonio da Camerino e Nicola di Maestro Antonio; in Toscana, con Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli; e a Roma, con Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano. Ma l’importanza del ruolo di Piero è stata colta anche a Venezia, dove Giovanni Bellini e Antonello da Messina mostrano di essere venuti a conoscenza del suo mondo espressivo.

La mostra, aperta dal confronto, sempre citato ma fin’ora mai mostrato, tra la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca e la Silvana Cenni di Felice Casorati, da conto della nascita moderna del suo “mito” anche attraverso gli scritti dei suoi principali interpreti: da Bernard Berenson a Roberto Longhi.

La riscoperta ottocentesca di Piero della Francesca e affidata a importanti testimonianze: dai disegni di Johann Anton Ramboux alle straordinarie copie a grandezza naturale del ciclo di Arezzo eseguite da Charles Loyeux, fino alla fondamentale riscoperta inglese del primo Novecento, legata in particolare a Roger Fry, Duncan Grant e al Gruppo di Bloomsbury, di cui fece parte anche la scrittrice Virginia Woolf.

Il fascino degli affreschi di Arezzo sembra avvertirsi nella nuova solidità geometrica e nel ritmo spaziale di Edgar Degas. Un simile percorso di assimilazione lo si ritrova in pittori sperimentali e d’avanguardia come i Macchiaioli. Echi pierfrancescani risuonano in Seurat e Signac, nei percorsi del postimpressionismo, tra gli ultimi bagliori puristi di Puvis de Chavannes, le sperimentazioni metafisiche di Odilon Redon e, soprattutto, le vedute geometriche di Cézanne.

Il Novecento è per più aspetti il “secolo di Piero”: per il costante incremento portato allo studio della sua opera, affascinante quanto misteriosa; e per la centralità che gli viene riconosciuta nel panorama del Rinascimento italiano. Contemporaneamente la sua opera è tenuta come modello da pittori che ne apprezzano di volta in volta l’astratto rigore formale e la norma geometrica, o l’incanto di una pittura rarefatta e sospesa, pronta a caricarsi di inquietanti significati. La fortuna novecentesca dell’artista è raccontata confrontando, tra gli altri, gli italiani Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Funi, Campigli, Ferrazzi, Sironi con fondamentali artisti stranieri come Balthus e Hopper che hanno consegnato l’eredità di Piero alla piena e universale modernità.

Per approfondire

(Comunicato ufficiale mostra)

PIERO DELLA FRANCESCA
INDAGINE SU UN MITO
Musei San Domenico
FORLÌ

13 febbraio – 26 giugno 2016

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Milano Design Film Festival 2015

Promuovere un abito significa anche propagandare ideali: modernità velocità linearità accessibilità. Il film ritrae il poliedrico artista fiorentino Ernesto Michahelles, in arte Thayaht, intento a disegnare l’abito universale, la tuta, icona dell’uniformazione del popolo sotto il regime. Uniti si vince, e allora tuttintuta! Ad accogliere la nascita della TuTa, il popolo fiorentino, che attende che Thayaht lo guidi attraverso la città, inscenando una sorta di secondo rinascimento, che non celebra l’individuo, ma il valore della comunità, della massa. Il film, un prezioso documento storico – incluso nel programma di MDFF 2015 grazie alla partnership con il brand di moda Vionnet – restaurato negli anni cinquanta e conservato presso l’Archivio Thayaht & RAM, affronta temi disparati; uno su tutti, quello del design ‘democratico’, così accessibile da essere riproducibile in casa. Non è noto il nome del regista, ma di certo il film nasce dall’intenzione di Thayaht e del fratello RAM di promuovere la TuTa e i valori che essa rappresenta. Il filmato fa parte di un progetto di promozione studiato dagli stessi artisti e portato avanti in collaborazione con il quotidiano ‘La Nazione’ nel 1920. Il film chiude con l’arrivo del corteo a Piazzale Michelangelo, dove l’attende RAM, anch’egli in TuTa: un ricongiungimento che sottolinea come i creatori, dall’inizio alla fine, siano gli estremi del progetto di condivisione universale.

(Marta Franceschini)

MDFF – Milano Design Film festival
Anteo SpazioCinema
Via Milazzo 9 – 20121 Milano

15-18 ottobre 2015

Sito dell’evento

Scarica il programma

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Mostra a cura di Stefania Ricci e Riccardo Spinelli.

Il Museo Salvatore Ferragamo dedica una mostra alla storia del suo secolare Palazzo Spini Feroni,in via Tornabuoni a Firenze, dall’8 Maggio al 3 Aprile 2016, in occasione delle celebrazioni del 150esimo anniversario di Firenze Capitale del Regno d’Italia, quando l’edificio nel 1865 viene scelto come sede del Municipio.
La mostra presenta opere d’arte e documenti di grande prestigio provenienti da musei e collezioni private di tutto il mondo e racconta le complesse vicende storiche del Palazzo e di coloro che vi hanno avuto dimora,riconsegnando alla città di Firenze uno degli edifici più significativi del paesaggio urbano fiorentino.
Grazie alla collaborazione dell’ Archivio THAYAHT & RAM, nella sezione dedicata al Novecento curata da Susanna Ragionieri, sarà possibile ammirare alcune delle opere che RAM espose nel palazzo nella Mostra Personale del 1928 e poi assieme al fratello THAYAHT e ad altri futuristi fra i quali Dottori, Prampolini, Fillia e Marasco nella Mostra Futurista del 1933.

Museo Salvatore Ferragamo
Palazzo Spini Feroni
Piazza Santa Trinita, 5/R
50123 FIRENZE

Comunicato stampa
Sito della mostra

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Mostra a cura di GIOVANNI LISTA

Galleria Carla Sozzani, Milano

In occasione del suo venticinquesimo anniversario, la Galleria Carla Sozzani presenta la mostra «Fotografia Futurista» a cura di Giovanni Lista.
La mostra indaga, nell’arco di mezzo secolo, il modo in cui i futuristi si sono impossessati del linguaggio fotografico per fissare l’invisibile della pulsione vitale e per trascrivere la realtà come creazione e divenire.

Oltre cento fotografie originali provenienti da collezioni private e da fondi storici nazionali: Archivio Francesco Trombadori, Roma; Collezione Giorgio Grillo, Firenze; Fondazione 3M, Milano; Fondazione Torino Musei, Torino; Fondo Francesco Negri, Casale Monferrato; Fondo Italo Bertoglio, Torino; Foto Studio Pedrotti, Bolzano; Gabinetto Fotografico Nazionale, Roma (ICCD-MiBACT); Galleria Civica di Modena, MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto; Museo Nazionale del Cinema di Torino; Raccolte Museali Fratelli Alinari (RMFA), Firenze; Touring Club Italiano, Milano.

Articolata in quattro sezioni, dalla distruzione della mimesi come illusione naturalista, alle ricerche innovatrici degli anni Venti-Trenta, «Fotografia Futurista» comprende il fotodinamismo formalizzato dei fratelli Bragaglia, gli autoritratti di Depero, i fotomontaggi di Tato, fino alle foto-perfomance, in sintonia con le migliori avanguardie europee, contestatarie e rivoluzionarie, libertarie ed eccentriche, iperboliche e irrecuperabili per i canoni della società borghese.

La prima sezione documenta le direzioni intraprese all’inizio del XX secolo dalla fotografia per distruggere l’illusione di una mimesi naturalista e autorivelarsi come immagine artificiale, non più riflesso della realtà ma costruita in studio: la cosiddetta «foto spiritica» che spesso era volutamente ludica e ironica cioè scopertamente proposta come gioco; l’immagine doppia o sdoppiata per catturare la sequenza del movimento; la ricerca di una scansione formale attraverso cui la realtà funzionale tende a diventare solo ritmo astratto di luce o di linee; il ritratto multiplo, effettuato con la camera a specchi: il fotomontaggio, con fini fantastici, umoristici o ludici, in cui Boccioni intravede subito un’immagine della molteplicità ontologica e pirandelliana dell’essere.

All’invenzione del «fotodinamismo», o fotografia del movimento come energia in atto ad opera dei fratelli Anton Giulio e Arturo Bragaglia è dedicata la seconda sezione, come uno dei contributi più significativi del futurismo alla storia della fotografia. Esplorando la capacità fotografica di fissare un gesto repentino in termini di energia pura che trascende la massa corporea, i fratelli intuiscono la possibilità di coglierne solo la scia luminosa che interpretano come verifica di una realtà spirituale, come manifestazione della forza vitale che abita la materia.

Il fotoritratto che i futuristi hanno usato come veicolo di comunicazione ma anche come possibilità di restituire l’immagine emblematica di se stessi come artisti d’avanguardia è il tema del terzo approfondimento. Compensando la registrazione passiva della realtà da parte dello strumento fotografico, hanno inventato la foto-performance in cui l’artista consegna all’obbiettivo un’immagine autoironica di sé come figura istrionica e clownesca.

La quarta sezione è dedicata alle ricerche degli anni Venti e Trenta in cui i futuristi, in totale accordo con le avanguardie europee e ponendosi come corpo estraneo alla cosiddetta «cultura fascista», hanno praticato il fotomontaggio, il foto-collage, la composizione d’oggetti, i giochi di luci o di specchi, il teatrino d’ombre, le simbologie magiche, misteriose o allusive delle cose sorprese in chiave di natura morta, la metafora dei valori luminosi, la posa in costume come paradosso allegorico, sguardi che si pongono al di fuori dell’iconografia del regime.

In mostra, le foto scelte tra trentun autori dai primi del novecento fino alla fine degli anni Quaranta: Vittorio Alinari (Firenze,1859/Livorno, 1932); Mario Bellusi (Ferrara,1893/Roma,1955); Francesco Benvenuti (Firenze,1863/Viareggio, 1919); Italo Bertoglio (Torino,1871/1963), Piero Luigi Boccardi (Intra, 1890/Torino, 1971); Umberto Boccioni (Reggio di Calabria,1882/Verona, 1916); Gustavo Ettore Bonaventura (Verona,1882/Roma, 1966); Anton Giulio Bragaglia (Frosinone, 1890/Roma, 1962) e Arturo Bragaglia (Frosinone, 1893/Roma, 1962); Mario Castagneri (Alessandria,1892/ Milano, 1940); Gianni Croce (Lodi, 1896/Piacenza, 1981);Tito D’Alessandri (Roma,1864/1942); Ferruccio Antonio Demanins (Trieste,1903/1944); Fortunato Depero (Fondo, 1892/Rovereto, 1960); Mario Gabinio (Torino, 1871/1938); Maggiorino Gramaglia (Torino, 1895/1971); Giovanni Giuseppe Guarnieri (Locorotondo, 1892/Mendoza, 1976); Emanuele Lomiry (Ancona, 1902/Roma, 1988); Elio Luxardo (Sorocaba, 1908/Milano,1969); Carlo Maiorana; Filippo Masoero (Milano, 1894/Roma, 1969); Bruno Munari (Badia, 1907/ Milano, 1998); Francesco Negri (Tromello in Lomellina, 1841/Casale Monferrato, 1924); Mario Nunes Vais (Firenze 1856/1932); Ivo Pacetti (Figline 1901/Albissola, 1970); Giulio Parisio (Napoli, 1891/1967); Enrico Pedrotti (Trento, 1905/Bolzano, 1965); Guido Pellegrini (Milano, 1886/1955); Tato alias Guglielmo Sansoni (Bologna, 1896/Roma, 1974); Thayaht alias Ernesto Michahelles (Firenze, 1893/Marina di Pietrasanta, 1959; Enrico Unterveger (Trento, 1876/1959); Wanda Wulz (Trieste, 1903/1984).

Accompagna la mostra il catalogo in italiano e inglese Fotografia futurista a cura di Giovanni Lista e pubblicato da Carla Sozzani editore, che raccoglie le testimonianze della ricerca fotografica futurista e dei suoi nuovi codici visivi.

Galleria Carla Sozzani
corso Como 10 – 20154 Milano, Italia

11 giugno – 01 novembre 2015

Sito della mostra

 

 

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con Mario Lupano e Alessandra Vaccari

La storia della moda italiana ha nei primi decenni del XX secolo uno dei suoi periodi più densi e affascinanti. In questi anni – tra due conflitti mondiali e una dittatura – emerge una rete internazionale di avanguardie artistiche e si consolidano processi di modernizzazione dell’industria tessile e dei settori di produzione e consumo di abbigliamento. Durante l’incontro, le voci dei due relatori si alternano per introdurre il pubblico a una lettura interdisciplinare delle relazioni tra moda e modernismo, tra arte, architettura, design e cinema. A essere affrontati sono la questione delle temporalità moderniste; i processi di internazionalizzazione della cultura italiana; la questione della moda nazionale e le visioni indotte dal regime fascista; lo spettacolo della moda e i suoi aspetti performativi.

Alessandra Vaccari Professore associato di Storia e teoria della moda all’Università Iuav di Venezia. Ha pubblicato sulla moda italiana negli anni del fascismo e sul rapporto tra moda e modernismo. Tra i suoi libri: Una giornata moderna: moda e stili nell’Italia fascista: 1922-1943 (Damiani, 2009) insieme a Mario Lupano; La moda nei discorsi dei designer (Clueb, 20012) e Moda e modernismo (Marsilio, in corso di pubblicazione).

Mario Lupano Storico e critico dell’architettura contemporanea, si è dedicato alla situazione italiana nella prima metà del Novecento, approfondendo le relazioni tra modernismo, architettura e fascismo e studiando in particolare la figura di Marcello Piacentini.

Auditorium del MAXXI
ROMA

Sito della mostra

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Mostra a cura di Tonino Sicoli, Bruno Corà, Massimo Di Stefano, Leonardo Passarelli.

La linea della ricerca astratta nelle pittura del Novecento si sviluppa certamente del geometrismo scompositivo delle poetiche cubo-futuriste di inizio secolo per orientarsi successivamente verso una sempre maggiore delineazione di un astrattismo puro, razionalista e concretista. Cosi in Italia il Secondo Futurismo, distaccandosi progressivamente dal dinamismo plastico boccioniano ha intrapreso una direzione astratta, con forme elementari e con colori a stesura bidimensionale. La pittura non figurativa ha rappresentato un filone che ha segnato fortemente le poetiche del Secondo Novecento e questa mostra vuole giusto coglierne la genesi e le prime fasi, a partire da quegli artisti che hanno mosso i loro primi passi nell’alveo del Futurismo per poi approdare ad una ricerca radicalemente astratta.
La mostra quindi documenta gli sviluppi della cosiddetta Aeropittura verso l’Astrattismo.

Maon – Il Museo Dell’Arte dell´Otto e del Novecento
RENDE (CS)

Sito della mostra

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Giancarlo Norese and Luca Scarabelli (ed. by), “importraits.”
Cover image: a graphic elaboration from “La Tuta” , 1919-1920
Courtesy of Ministero dei Beni Culturali e delle Attività Culturali e del Turismo (117 UD)
Printed in Italy by a certain number of books., 2014 (no ISBN)

acertainnumberofbooks.tumblr.com

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La rivista Clothing Cultures pubblicata da Intellect Ltd. raccoglie articoli e studi sulla cultura del vestire inteso come elemento chiave del vivere sociale.
Nel numero di ottobre il saggio Utopian clothing: The Futurist and Constructivist proposals in the early 1920s di Flavia Loscialpo, Senior Lecturer in Fashion alla Solent Southampton University, UK, analizza la Tuta di Thayaht nel contesto del futurismo e delle sue relazioni con il costruttivismo russo.

CLOTHING CULTURES
Volume 1 Issue 3
Cover Date: October 2014
Intellect Jurnals
ISSN 20500742
ISSN on line 20500750

Pagina ufficiale della pubblicazione

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Aprono per la prima volta al pubblico, dopo essere stati restaurati, alcuni spazi di uno dei più importanti complessi dell’architettura moderna in Toscana, la ex sede della Cassa di Risparmio di Firenze progettata negli anni Cinquanta da Giovanni Michelucci ed oggi sede dell’Ente CRF.

Nelle stanze di Michelucci – Collezioni del Novecento (un progetto di Barbara Tosti a cura di Lucia Mannini, Chiara Toti, Giovanna Uzzani con la collaborazione di Emanuele Barletti) è collocata in due sale del secondo piano e presenta 62 opere tra dipinti e sculture e una ventina di libri d’artista. In una prima sezione sono esposte opere di Ardengo Soffici, Primo Conti, Lorenzo Viani, Thayaht, che testimoniano la prima stagione novecentesca toscana, caratterizzata da nuovi linguaggi, maturati dal connubio tra la riflessione sulla tradizione e le aperture sulle esperienze delle avanguardie francesi e internazionali. Un secondo percorso propone le opere suddivise per nuclei collezionistici o tematici o corpus di autori, tutte opere che sono state acquisite con la volontà di salvaguardare significativi capitoli della storia culturale e artistica toscana, tra cui la raccolta appartenuta ad un protagonista della cultura del 900 come Alessandro Parronchi (con opere di Mario Marcucci e Ottone Rosai) fino alle edizioni e ai libri d’artista della casa editrice e libreria fiorentina Centro Di. Interessante anche una ristretta scelta di mobili da ufficio disegnati a suo tempo dallo stesso Michelucci per gli ambienti della Banca CR Firenze, la quale ha contribuito, oltre che col prestito di questi arredi, con alcune opere della sua stessa collezione. A corredo un’agile pubblicazione, a distribuzione gratuita, edita da Polistampa.’

“…nell’ambito della raccolta appartenuta ad Enrico Barfucci (1899-1966) è esposta l’opera di Thayaht Sintesi lineare di una danza (1930), il cui prototipo apparve sul numero del marzo 1929 della rivista “L’Illustrazione Toscana” a illustrare i successi della Stabile Orchestrale Fiorentina…” (testo di Chiara Toti).

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THAYAHT & RAM Archive is proud to announce the new website